Quanticamalia. Alcuni estratti

Tramonto sulla Corsica visto da Cavoli - Isola d'Elba

Spiragli
« Hai mai visto il sole tramontare dietro una cima innevata che svetta oltre un braccio di mare? »
« Mmm… Sinceramente no. »
« Non sai cosa ti sei persa, ma stiamo per rimediare. Spero solo che tiri Maestrale, così l’aria sarà limpida… »
Per un istante, uscendo a centotrenta all’ora dalla galleria sospesa sulla pozza acquerellata del lago Trasimeno, Max si sentì evanescente, senza confini. Percorrere in discesa la superstrada che penetrava lo scenario gli diede l’impressione di aver abbandonato il corpo diventando una freccia scoccata a velocità pazzesca verso il futuro.
Preso dall’euforia, accelerò ancora.
« Mi piacerebbe farti vedere l’arcipelago in tutto il suo splendore. Il clima dell’Isola d’Elba è micidiale, spesso ti circonda con una cortina d’afa e ti fa sentire una nullità, ma a volte regala un posto in prima fila sulla terrazza del mondo. Sono due anni che ho voglia di portarti là e metterti di fronte qualche tramonto di quelli che cambiano la vita, c’è veramente da perdere la propria identità. Ci si sente immersi nel tutto e nel sempre, e la bellezza che circonda il corpo dilaga ovunque… quasi quasi la indovini anche oltre la linea dell’orizzonte. »
Labbra femminili offrirono un sorriso poco convinto ai refoli d’aria fresca che filtravano dal tettuccio apribile.
Lui, dopo un’occhiata, proseguì: « Vedi? Ecco perché non parlo mai di quello che sento. Tutt’al più, lo scrivo. Nessuno si rende conto di cosa può capitargli semplicemente entrando in relazione con un angolo di mondo come quello… »
« Non ti scalderai mica… faccio solo fatica a seguirti. »
« Non mi scaldo, tranquilla. Però non venissero a dirmi che non siamo soli. Ciascuno di noi è rinchiuso nel proprio personalissimo modello della realtà. Per tutta la vita non facciamo altro che tentare di trasmetterci pensieri, emozioni, la bellezza che percepiamo… ma a parole ci si riesce poco e male, perciò è molto meglio rivolgersi ad altre forme di comunicazione… » Le rivolse uno sguardo giocoso che subito trasformò in un’espressione da folle mentre, d’improvviso, allungava la mano e le strizzava il ginocchio. Lei gridò per il solletico mentre lui, continuando a giocare, aggiungeva più o meno sui suoi stessi toni concitati: « E una di queste forme di comunicazione a noi sta parecchio a cuore… vero amore…?! » e subito dopo, in tono stavolta pacatissimo e volgendo gli occhi al cielo: « Ovviamente non ci si riferiva al solletico… »
Dopo le inevitabili proteste femminili, continuò: « Io, però, certe cose sento il bisogno di dirtele. D’accordo, sbaglierò… » congiunse le mani e assunse un tono scherzosamente implorante: « … però siamo in vacanza, fammi fare quello che mi va, dai! Per una volta non chiedermi di chiedermi se stia facendo la cosa migliore, vuoi? »
Un sorriso stanco (rassegnato?) anticipò la risposta di lei: « Va bene… però per favore tieni le mani sul volante e non esagerare come al solito ».
« Ti lamenti? In pratica sei l’unica persona con la quale parlo… »
« Mi lamento sì! Il Max che conosco io è fatto di emozioni intense, idee a dir poco originali e freddure allucinanti… non si tratta del musone taciturno con il quale hanno a che fare quasi tutti gli altri. »
« Lo vedi che sei privilegiata? » rispose lui con un sorriso ironico. « Dai, ho solo voglia di giocare un po’… dare qualche pennellata con le parole, se ci riesco… » Le scoccò un altro sguardo implorante: « Posso, mia signora? »
Dopo il sorridente cenno d’assenso di lei, cominciò a esporre con soddisfazione la propria idea: « Hmmm… Sai, quando entro in sintonia con la costa sud-occidentale dell’Elba, ho spesso l’impressione che abbia una personalità tutta sua. Lo so che sembra una pazzia, eppure i miei sensi questo mi dicono! Pensa, trecento metri più in basso del luogo dove voglio portarti c’è un braccio di mare talmente vasto da farti intuire la curvatura del pianeta. All’orizzonte, poi, c’è la Corsica. Ne vedi più di metà o forse addirittura tutta… difficile farsi un’idea. Sotto il cielo incendiato dal tramonto, lei si circonda di silenzio. Se ne sta semplicemente al centro del paradiso con le sue forme sinuose, le sue case, le sue auto che occhieggiano nel crepuscolo, i suoi lampioni e i suoi ghiacciai che fanno sognare. La cartolina, la diapositiva, l’immagine più bella sono nulla se le confronti con un’esperienza così ricca di colori, brezze e sfumature che, per giunta, ogni sera compongono una dimensione sempre nuova. Quando torni a casa, ti porti sempre dietro un intimo senso di padronanza e la certezza di non essere mai stata piccola e sola come in precedenza avevi creduto. In effetti la solitudine, quella che provi quando sei in mezzo agli uomini, là scompare del tutto. Anzi, non è mai esistita… ti trovi nel mondo naturale e senza tempo nel quale tutti gli esseri viventi coesistono in sinergia, non nel casino allucinante che abbiamo messo insieme noi dopo esserci isolati dalla natura e avere inventato l’orologio. Là ti vengono pensieri che non incontri in nessun altro luogo… »
« Cioè…? »
« A parte l’intimità con te stessa e con il creato in tutte le sue possibili sfumature? Guarda… » alzò le mani « … hai voglia di sorbirti qualche ora di metafisica e di fisica quantistica? Comincio a parlare, se vuoi… »
Un sorriso che la diceva lunga prese forma in silenzio sul volto aggraziato rigato di stanchezza.
« Immaginavo… » proseguì lui dopo un’occhiata. « Però, sul serio… penso che il discorso t’interesserebbe. Potrei cercare di sintetizzare in poche frasi quello che è un azzeccagarbuglio di tutto rispetto. »
« Sono stanca, ma se dici che mi potrebbe interessare… »
« Dai, che ti frega. Siamo in vacanza… male che vada puoi sempre addormentarti. Prendiamola come viene e vediamo che succede, ti va? »
« Okay. Vai pure. »
« Hmmm, vediamo… Diciamo che Dio creò l’universo e si frazionò in infiniti quanti, ovvero pezzi della Sua Coscienza che liberò in questa dimensione al solo scopo di farli giocare con la vita e sperimentare tutte le possibilità attraverso le Loro/Sue scelte e azioni. Queste Scintille, chiamiamole così, sono dentro di noi… siamo noi… e sono mosse da due pulsioni: la nostalgia per lo stato d’Unità dal quale provengono… cioè proveniamo, e il desiderio di divertirsi a creare esperienze, viverle e tramutarle in bellezza. »
Diede un’occhiata a Chiara per misurare il suo livello d’interesse. Vedendola attenta, si sentì incitato a proseguire: « Ecco da cosa hanno origine l’umano senso di solitudine e il desiderio di unirsi agli altri per costruire insieme qualcosa d’armonioso. Inconsciamente sappiamo di essere una sola cosa, ma anche che restare separati l’uno dall’altro ha un senso compiuto. Per noi è impossibile vivere qui l’esperienza dell’Unità ma, al tempo stesso, ne siamo pazzamente attratti. Nella nostra mente il suo ricordo e il suo richiamo sono appannati, ma a livello emotivo sono intatti, perciò non possiamo fare di meglio che vivere questa situazione interiore come un desiderio ingestibile… con tutti gli squilibri e i casini che ne conseguono ».
Stavolta un’occhiata gli fu sufficiente per capire di aver davvero catturato la sua attenzione, perciò tornò a volgersi alla strada e proseguì (segue…)

AmoreAlieni
« Scusa, non ho voglia di parlare. »
« Va bene » rispose contrariato voltandosi sul letto troppo corto.
Il canto di una civetta s’impossessò del silenzio.
La desiderava.
Entrambi sentivano mescolarsi ai profumi della carne la serenità della casa, nella quale Max aveva visto sbocciare molti dei propri sogni d’adolescente.
Quella era la prima notte insieme in una dimensione totalmente inattesa e lei si sentiva estranea, un’intrusa nel proprio stesso corpo.
Max si voltò ancora, gli occhi puntati nell’oscurità a intuire un luccichio selvaggio.
La luna evase per un attimo dalla sua gabbia di nubi, un gelido riflettore che esaltò lo stormire del vento tra le foglie dei platani.
Lo stomaco dell’uomo, animato da istinti ancestrali, si contrasse. Chiara lo percepì nelle correnti della carne, ma era combattuta. Voleva rimanere sola, eppure avvertiva il desiderio nel ventre e nella gola.
Rimase immobile.
Max si fece coraggio e la carezzò, una mano calda materializzata dal buio. Voleva essere tenero, questa era la sua essenza. Ma non era l’unica.
In un attimo incompiuto il corpo di lei si schiuse impercettibilmente. Pulsava già umido di desiderio, si preparava a incendiare essenze di vita ignorando la mente.
Lui ne indovinò il fremito e si fece sicuro. Era istinto assoluto, quella notte, non un uomo. Viveva di sola brama, condensata dallo sguardo sulla pelle anonima che galleggiava nel buio e irradiava essenze di femmina.
I grumi di pensiero smisero di cadere nelle coscienze.
La donna, sentendosi finalmente libera da ogni controllo, gemette piano.
Era il segnale. (…)

Punta le TombeIeri 6
Il Luogo trascinava la propria esistenza su un sentiero composto di mutamenti impercettibili: storie insignificanti che scandivano un eterno non essere.
Era sempre più consapevole dell’oceano che sentiva rumoreggiare trecento metri più in basso e desiderava ardentemente fondersi con quella costante mutevolezza, ma i movimenti tettonici sembravano opporsi all’anelito che, nei millenni, aveva preso a graffiarne l’anima di roccia.
Era affascinato dalle onde che correvano argentine in direzioni sempre diverse disegnando nell’aria pennellate di spuma così effimere ed estranee alla sua eterna condanna. Voleva lasciarsi toccare da quelle carezze. Voleva dialogare con quell’essenza, unico spirito mutevole esistente in quel mondo granitico… elemento femminile suo sposo, sua antitesi.
Ma, Signore sventurato, una notte i movimenti della faglia lo sollevarono a perpendicolo sempre più lontano dall’oggetto dei suoi desideri e la voce della sua sposa divenne di secolo in secolo sempre più flebile.
Lei, udendo il suo richiamo disperato, riusciva talvolta a innalzarsi sino a sfiorarlo in un contatto convulso, ma l’astro splendente e la fortissima gravità la trascinavano via con prepotenza prima che potesse plasmarsi in un sussurro d’amore.
Il tempo, anch’esso schiavo della maledizione, stagnava immemore della propria gigantesca esperienza.
Altri eoni seppellirono con cura pedante un ricordo sempre più lontano, trasformato. Era ciò che restava di una pienezza di vita appena intuita.

BattigiaCatarsi
L’erba attutiva i tonfi precipitosi della fuga. Cespugli di spine s’aggrappavano in violenti abbracci alle gambe sempre più pesanti.
Il respiro, convulso, trasmutava a tratti in stridori d’angoscia.
Colpi di rami e fogliame sul viso…
Gli parve che il mondo si fosse concentrato là per acclamare quella corsa folle con gettiti d’immagini silenziose. Non sapeva, in quei momenti. Non conosceva altro che quell’eterna fuga.
Da chi, da cosa o verso dove… ciò gli era ignoto.
Prati rigogliosi, campi e piante dall’aspetto vagamente esotico striavano il suo sguardo proteso verso un elemento interiore. Una distesa di girasoli l’acclamò al suo passaggio, ma i suoni gli pervennero da lontano sull’onda portante di un fruscio indefinito.
Corse e corse ancora. Raramente incontrava strani animali che fuggivano lanciando messaggi incomprensibili. Il cielo non era compreso in quell’immagine dai toni confusi.
Ebbe un’intuizione e subito reagì spiccando il primo balzo. Nell’istante in cui la paura si tramutava in incontenibile meraviglia per la riscoperta facoltà di superare chilometri e chilometri in un solo impeto, qualcosa d’agghiacciante lo circuì di nuovo.
Esplose, la coscienza dilaniata in mille frammenti roteanti per lo spazio onirico. Eppure provava ancora una sensazione d’individualità, seguiva un pensiero definito.
Lo scossero le solite vibrazioni. Lente, profonde, lo condussero fluttuando in seno a un’oscurità protettiva.
Poi aprì gli occhi.
Osservò attraverso le ciglia il sole adagiato in un trono di candide nubi. Bruciava sul torace e sulle cosce.
Per un periodo indefinito – il corpo esanime – non percepì il fluire del tempo. Poi, appena ne ebbe forza, si volse su ciottoli bagnati da un suono delicato.
La pelle, inaridita, fu dissetata da un liquido fresco, quieto, e allegri giochi di luce si riflessero sul volto stanco.
Fu contagiato di tranquillità.
Affascinato, osservò il sole frantumarsi e disperdersi tra le increspature che danzavano sulla superficie di quello che gli parve un mare.
La luce variò con morbida velocità.
Alzò lo sguardo e incontrò l’orizzonte. Il sole, inspiegabilmente, era già prossimo al tramonto ed emanava spruzzi di volontà sanguigna sotto vastità di viola e d’indaco tanto intensi da colorare quelle strane acque per mezzo di tinte a lui sconosciute.
Incuriosito dal luogo, che percepiva stranamente familiare, volse lo sguardo impigrito da tanta bellezza.
Si scoprì disteso sulla battigia di una spiaggia deserta, ove minuscole onde silenziose amoreggiavano senza fretta con sassi coloratissimi.
A una decina di metri dietro di lui, oltre un deposito di alghe fruscianti dall’aspetto pulito, la graniglia si trasformava in una duna di grossi ciottoli che correva parallela alla linea delle acque. Questa, qualche centinaio di metri più a Nord, s’adagiava fino a coincidere con la spiaggia vera e propria, mentre verso Sud finiva contro la parete di un promontorio roccioso nel quale si apriva un canalone aspro e serpeggiante che sembrava attraversarlo interamente. A Nord lo sguardo si perdeva indisturbato per chilometri sino a incontrare dei palmizi indefiniti, mentre verso Sud era ostacolato dal promontorio che brillava di una luminosità quasi eterea.
Dopo qualche occhiata circospetta, s’avviò proprio in questa direzione. Stava rispondendo a un richiamo.
Si allontanò dal mare e penetrò nel canale. Era irto di masse calcaree aggrappate alle pareti e sbriciolate sul fondo. Gli sembrarono vetri frantumati fuoriusciti da vecchi portafoto in un tentativo d’abbraccio all’oblio.
Ma cosa diavolo era un portafoto?!
Il percorso lo guidò a una cala. Lambiva tranquilla la spiaggia nel punto in cui s’inoltrava attraverso una gigantesca cattedrale vulcanica sospesa che la sovrastava.
Esplorò il Luogo e, con circospetta meraviglia, sentì affiorarne alla memoria le forme, i suoni, gli aromi. L’interno di un’alcova stillava acqua, un liquido dal sapore dolce che andava a nutrire un rigoglio di piante sconosciute scorrendo in un canale dal fondo scintillante.
Il Viaggiatore si sentì protetto come mai in precedenza, certo nell’intimo di essere legato a quel Luogo da un vincolo immortale. Lo smarrimento divenne ben presto audacia, si sentiva spinto da un impulso istintivo di padronanza.
Sorrise.
Gli occhi, volgendosi al cammino percorso, apparvero tranquilli, densi di signorile luminosità.
Camminando sul pietrisco tiepido tornò senza fretta alla spiaggia ciottolosa scorgendo un sole in purpurea agonia. Nel disco immenso, rigato dagli strati dell’atmosfera, si delineò, come nel sogno, il profilo di una barca.
Remote sensazioni di familiarità tornarono a echeggiare insieme a brandelli di ricordi.
Il tempo s’immobilizzò ancora.
Rumori tranquilli provenivano, ora, dalla duna sassosa, sulla quale alcuni indigeni accudivano serenamente le proprie mansioni godendosi l’aroma di salsedine e la brezza serale.
L’estrema tranquillità della scena lo colpì quasi con violenza: adesso riconosceva i membri di quel gruppo chinati a intrecciare rami e svuotare zucche.
Erano la sua tribù.
Molti sguardi l’interrogarono in silenzio. Con il cuore che rischiava di scoppiargli per la gioia, vi lesse il rispetto devoto, ma sapeva di dover prima comprendere la situazione ed evitò di correre ad abbracciarli. Invece li salutò sorridendo e, con trepidazione, si volse di nuovo al mare.
Sotto un sole stranamente ancora tiepido quella che si rivelò una piccola giunca offriva le vele logore alla brezza.
Il flusso degli eventi tornò a immobilizzarsi ancora come mai in precedenza.
Riprese a scorrere solo in seguito, risvegliato dagli scricchiolii ormai vicini dell’umile imbarcazione.
Due figure solennemente abbigliate vi spiccavano, in piedi, contro il cielo purpureo. Dipingevano la scena di tenera semplicità, l’una barbuta e senile, l’altra sinuosa e delicatamente femminea.
Quest’ultima, quando ancora ogni altro particolare rimaneva indistinto nella semioscurità del controluce, rivelò lo sguardo. Un lampo inchiodò il Viaggiatore e l’avvolse in un abbraccio di sensualità e comunione.
L’unico suono era quello dell’acqua che gocciolava senza fretta dalle remate tranquille.
Accadde così che, nel tepore incantato di una sera smarrita tra le pieghe del tempo, il suo spirito d’uomo eterno ricordò e si condensò in un grido selvaggio di trionfo.

Francesco Pandolfi Balbi
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